Al Lido l'attrice amata dai registi della storia del cinema riceverà il Leone alla carriera
Oui, c’est le Lion d’Or. Benvenuta Catherine Deneuve al Lido, dove riceverà il Leone alla carriera. L’attrice amata da registi da storia del cinema come Truffaut, Demy, Polanski, interprete della Tristana di Buñuel che incede altera, velata di nero, pur amputata di una gamba o della vampira immortale che bacia sulla bocca (e fu subito leggenda) Susan Sarandon in Miriam si sveglia mezzanotte, insomma la blonde perfetta che ha fatto vibrare anche Hitchcock, che di ghiaccio bollente se ne intendeva ma non ha fatto in tempo a girare il film che aveva scritto per lei.
Catherine è fra le ultime dee del cinema, trasformata dal mito anche in testata giornalistica, la rivista “Deneuve” votata al culto lesbo (ma lei fece causa e al terzo numero venne ribattezzata “Curve”), risorta con slancio da un ictus, capace di regalarti un’intervista a cuore aperto, almeno così credevi, ma poi capisci che non ha svelato nulla, abile nell’alimentare il mistero. Il che non ha impedito, anzi, che Deneuve diventasse dagli anni ‘60 in poi, un’ icona di stile, facendo dei suoi abiti e costumi veri oggetti del desiderio e spesso ottimo business. A creare l’incontro fatale con Yves Saint Laurent fu il fotografo di moda della swinging London David Bailey, l’unico che le ha messo la fede al dito, anche se in amori la diva è stata sempre al passo: Roger Vadim, Philip Noiret, Truffaut e naturalmente Marcello Mastroianni da cui ha avuto Chiara, si mormora persino di una lunghissima relazione segreta con Johnny Hallyday.
A noi quel che importa di questa donna libera, che ha persino sfidato il #metoo, è ciò che ha inventato sullo schermo. E soprattutto come lo ha indossato. Per il pudore finto ingenuo han fatto boom il trench Burberry color ghiaccio e le ballerine con laccetto nel romantico e piovoso Les parapluies des Cherbourg, il film che l’ha lanciata, segnali di stile poi doppiati dai miniabiti con falda laterale bicolore ed enormi cappelli in voile giallo e rosa shocking nell’altro musical di Demy, Josephine (Les demoiselles de Rochefort) dove canta e balla con la sorella Françoise Dorléac, musa Nouvelle Vague scomparsa giovanissima in un tragico incidente. Le acconciature di Deneuve sono già tendenza all’epoca, i capelli bombati, raccolti in alto e fermati da un cerchietto o da un fermaglio a fiocco nero, la sua giovanile image de marque, imitatissima. Il black è il colore del destino: uno chignon killer, occhiali scuri da gatta e bluson di pelle nera per la vampira già citata, stiloso abito a sigaretta dello stesso colore per le nozze con Bailey, e infine quel tubino nero con colletto e polsini di satin bianco firmato Yves Saint Laurent in Belle de Jour, versione francese e maliziosa del Little black dress, celebrato da ogni stilista e ancora oggi nell’immaginario di tutti come l’ambigua bella-di-giorno Severine. Fu la stessa Deneuve a insistere per le décolleté a tacco basso e fibbia oversize di Roger Vivier; oggi, dopo che il film ne centuplicò le vendite, quel modello iconico si chiama Belle Vivier.
A settantanove anni, resistente agli urti e ai benpensanti, Deneuve, che è stata la Marianna dei francesi e l’incarnazione di Chanel N° 5, non smette di divertirsi con la moda senza badare a vanità fuori tempo o preoccuparsi della linea che non è più quella che fu. Non si è mai pentita delle tante pellicce del passato e se può sfoggiare ancora oggi un tocco animalier è felice, che sia un abito maculato o l’ampio cappotto con risvolto leopardato sull’impeccabile tubino smeraldo in 8 donne e un mistero di Ozon. Sfrontata, con quella sigaretta perennemente tra le dita, non incline a seguire troppo le mode, soprattutto salutiste. Deneuve “è” la moda. Deneuve è. E ci basta.